COME IN APNEA...di MANUELA MASSIDDA

Era il giorno del suo compleanno, il 23 di un caldissimo Giugno, e già da un mese Iel pensava a cosa avrebbe potuto organizzare per trascorrerlo, a come potersi divertire tra mare, sole e amici,

ma il destino lo aveva fatto per lei: le aveva fissato un rendez-vous molto curioso…certamente inatteso!

Lei che tanto credeva, come Dante, alla simbologia numerica affidava al numero 23 un grande compito: cambiare rotta anche se tutto faceva pensare al contrario!

Da circa 5 mesi soffriva di quotidiane pesanti vertigini, nausee, astenia costante ed imbarazzante, inoltre avvertiva un rilassamento alla gamba destra. La prima visita si era svolta presso un anziano, ormai stanco, ottorino laringoiatra che, in tutta fretta, aveva addotto alla pizza ai funghi mangiata la sera prima il suo malessere. Per tre settimane Iel curò una fantomatica “labirintosi tossica” ,ma le vertigini anziché diminuire continuarono il loro slalom in discesa facendosi spazio tra le nausee e una stanchezza opprimente. Nel frattempo anche il medico di famiglia le fece provare qualche rimedio antivertigine ma senza successo.

Iel non trovando soddisfazione nei manuali umani si interessò di leggere su Internet esperienze vissute da altre ragazze che, come lei, un bel giorno si sono svegliate con gli stessi sintomi, ma ciò che stava scoprendo non le era di consolazione, anzi!!! Continuava ad alzarsi e ad andare a letto con le vertigini, episodi costanti, seppur brevi, che iniziavano a renderla insicura in un così naturale movimento. E quando ci si sveglia per più di trent’ anni senza vertigini bastano anche soli cinque mesi per credere che continuerà per sempre così!

Con l’ arrivo della primavera, le cose tendevano a peggiorare anche a causa del tempo, infatti la spossatezza aumentava. In tutto questo periodo la ragazza svolgeva costantemente il suo lavoro assentandosi solamente per le visite mediche. Un bel giorno decise di approfondire la cosa facendo delle analisi in ospedale. Credo che non esista modo migliore di questo per perdere tempo. Domande anche semplici, quando ti rivolgi a un personale addetto con una coscienza inesistente, sono sempre destinate a non trovare una risposta , ma, per fortuna Iel era una ragazza sveglia … E’ come quando, per citare una canzone, “regali confidenza a chi non ti pensa!” Fù così che iniziò a sentirsi protagonista di una di quelle tante storie sentite o viste per caso: diagnosi ridicole, sintomi che si ostinavano a non voler lasciare il suo corpo e, per ultimo, ma non per questo meno importante, una costante insensibilità delle così dette strutture organizzate. Ma tutto ciò sembrava non riguardarla, Iel continuava a comportasi come sempre, anche perché era l’ unico modo che in realtà conosceva.

La sua era una vita come tante, e Iel, rischiava di confondersi facilmente tra gli altri; il motivo? La semplice spontaneità con la quale cercava di viverla. Tante volte si era sentita ripetere: “sei troppo ottimista”, “vivi nel mondo dei sogni”…

La sua vita, del resto, era il suo specchio, la famiglia, che tanto sentiva vicino, il lavoro, che le stava insegnando a crescere, gli amici e, infine, i suoi molteplici hobby che le avevano permesso di scoprire come le sue “mani d’ oro” riuscissero a rendere speciale qualsiasi oggetto, anche il più insignificante... Ma forse, la sua dote più particolare era quella di saper ascoltare gli altri.

Tutti i giorni, fino a quel momento, Iel li aveva trascorsi a dare importanza al più piccolo avvenimento che potesse suscitare in qualche modo, anche la più minuscola delle emozioni tra lo stomaco e il cuore.

A fare da padrone, però, era il tempo, sempre da rincorrere e quasi da pregare, talvolta da ritagliare, come fosse un origami, anche se, in realtà, quest’ ultima è l’ arte di piegare la carta.

Tutto a un tratto però la sua vita aveva cambiato ritmo, tutto era diventato più lento, ad iniziare dai suoi movimenti. Continuava, quando poteva, a dedicare un po’ del suo tempo al Servizio nei confronti del Prossimo e proprio in quei mesi stava finendo di organizzare uno spettacolo i cui fondi sarebbero andati a sostegno di una malattia rara: tutto, adesso, appariva prendere una sola direzione che le ricordasse il suo malessere, la sua situazione, quasi come in un film!

Sembrava quasi impossibile, ma la quotidianità, le situazioni, le persone, i discorsi erano tutti rivolti, come in un incantesimo, all’ esperienza che in quel momento stava vivendo. Nel frattempo, i suoi sintomi continuavano ad essere i suoi compagni di viaggio più fedeli!!! Lo spettacolo venne rappresentato in un bel teatro nel mese di giugno; come sempre l’ entusiasmo era alle stelle, i preparativi erano stati tanti ma Iel rendeva meglio quante più cose aveva da fare! Ogni volta calcare il palcoscenico era un bel brivido, avere un pubblico dinnanzi le dava una grande carica. Con il suo vestitino verde sul palco, parlava al microfono scandendo e riascoltando tutte le parole che diceva perché questa volta qualcosa era cambiata, non negli altri, ma in lei; quelle parole dette tante volte a sostegno di persone conosciute e non, stavolta potevano valere anche per lei. La vita fino ad allora vissuta tanto spensieratamente appariva ora faticosa e ogni situazione ora veniva studiata e ponderata oltre il limite prima di essere affrontata, anche perché stancarsi fisicamente non aveva più lo stesso peso di prima. Perfino prendere la sua cara nipotina in braccio diventava pericoloso a causa delle improvvise vertigini. Tra le tante visite, incappò in un primo neurologo che freddamente la liquidò dicendo: “Sospetta sindrome demielinizzante, considerata l’età e i sintomi è necessario fare una risonanza magnetica”. Uscita dall’ ospedale non fece altro che rivivere ogni attimo di quella terribile, seppur breve, visita medica, dentro di lei riecheggiavano fin troppo forte le parole del medico, che altro non stavano a significare se non Sclerosi Multipla! Riprese fiato e iniziò a pensare se dirlo a suo marito e alla sua famiglia che in quello stesso anno erano già stati provati da un lutto. Il silenzio con suo marito durò ben tre giorni, un silenzio caro e amaro nei confronti di un ragazzo dolce che sicuramente si sarebbe disperato al solo pensiero di perderla in quel modo. I giorni immediatamente seguenti trascorsero in cerca di informazioni mediche e di un’ altra eventuale visita che potesse smentire le precedenti parole. Dopo diversi consulti una persona a lei cara la indirizzò nelle sapienti mani di una dottoressa capace ed esperta nel ramo della sopraccitata sindrome ma la grinta e la sua voglia di vivere diventavano sempre più opachi, veniva meno quella forza fisica che per anni le avevano permesso di scalare montagne e scarpinare per km e km. Si faceva sempre più riflessiva, stare con se stessa le permetteva anche di aspettare le schiarite all’ orizzonte delle sue stesse tempeste emotive. Tanti in quel periodo, si accorsero che la Iel di sempre aveva qualcosa per la testa; ma il suo segreto lo avevano udito ben poche orecchie.

Anche la mattina dell’ esame arrivò, infatti circa una settimana prima era stato il suo compleanno, e il suo rendez-vous lo aveva avuto, non in forma romantica come le era piaciuto sognare, ma in una struttura ospedaliera. In compagnia di sua sorella fece quello che lei chiamò il viaggio in astronave, anche perché se avesse realmente pensato di dover stare immobile per ben quaranta minuti intrappolata all’ interno di un involucro d’ acciaio sarebbe impazzita. In quaranta minuti, aprì gli occhi una sola volta, per una manciata di secondi, tra l’altro per sbaglio, non farlo le dava più sicurezza.

Alla fine, il referto fu negativo, e ai suoi sintomi fu data una diagnosi, ma erano passati ben sette mesi dall’ inizio dell’ incubo.

Sette, lunghissimi, mesi. Il tempo sufficiente perché un bimbo, ancora nel grembo materno, possa venire al mondo.

Oggi Iel sa di essere sana, viva e che per qualche particolare motivo il destino per cui insieme ad altri lotto non le appartiene. L' attesa è stata lunga: duecento giorni spesi a ricercare la causa dei suoi sintomi, a sperare con tutte le forze che la malattia non avesse invaso il suo corpo come un’ alluvione una casa. Sette mesi, in più o in meno, ora, sono e fanno la sua differenza.

A tutti coloro che si riscoprono ViVi.

Manuela Massidda