Laurearsi nonostante l’handicap

Tratto da: Autobiografia di Soria Simone LogoFaceMouse_scritta_TWIST.gif

Mi chiamo Simone Soria, vivo a Modena con la mia famiglia ed ho una sorellina di 4 anni e mezzo.

Ho 26 anni, mi sono diplomato nel ’98 come perito informatico ed un anno e mezzo fa mi sono laureato in Ingegneria Informatica in corso con il massimo dei voti.

Vi racconterò brevemente come sono arrivato a questo traguardo, non senza fatica ma con grande soddisfazione.

La mia vita è stata un intrecciarsi di circostanze, molte positive ed altre negative, almeno in apparenza, che mi hanno portato ad essere quel che sono.

Nacqui il 24 febbraio 1979 affetto da paralisi cerebrale infantile, dovuta ad un parto ritardato; mi hanno raccontato che quel giorno i medici non furono pronti al loro lavoro… Addirittura dopo la nascita mi davano pochi giorni di vita, ma evidentemente si sbagliarono dato che ora vi sto parlando!

Questa fu la prima “fatalità” che incontrai, ma ve ne furono molte altre che determinarono la mia condizione fisica attuale: da piccolissimo quasi camminavo, poi una crisi mi danneggiò ulteriormente dal punto di vista motorio. Incontrai fisioterapisti svogliati nei primi anni di vita, mentre ai tempi della scuola media fu assistito da una persona in gamba che mi aiutò molto.

Anche nell’ambito scolastico ci furono alti e bassi, anche se fortunatamente incontrai spesso ambienti favorevoli. Che io mi ricorda fui praticamente sempre vicino ai miei coetanei, salvo qualche eccezione; sia alla scuola materna ed all’elementare giocavo e studiavo con loro. Mi ricordo che alla scuola materna correvo con i miei amici spingendo la carrozzella con i piedi puntati a terra, mentre alle elementari in alcune partite di calcio giocavo con i miei compagni facendo il portiere, in una porta che mi costruivano su misura. Cadevo parecchie volte e prendevo moltissime pallonate in faccia, però sono ancora vivo! Certo, le maestre si preoccupavano ed a volte cercavano di non farmi andare a giocare con i miei amici perché lo ritenevano pericoloso, ma io spesso riuscivo a convincerle.

Ho ancora rapporti con qualche mio compagno delle elementari, con cui all’epoca si instaurò una buona amicizia probabilmente grazie proprio a quei momenti di gioco passati insieme.

Dal punto di vista didattico frequentavo le lezioni con i miei compagni. Avevo una maestra d’appoggio che scriveva sotto mia dettatura, con cui stavo in un banco adatto alla mia carrozzella posto tra i miei compagni; del resto seguivo lo stesso programma scolastico di tutti gli altri e venivo interrogato normalmente dal docente, magari insieme ad un compagno. Mi ricordo che c’erano un paio di miei compagni bravi a disegnare, allora quando alla fine di un compito volevo fare un disegno chiedevo un aiuto a loro, anzichè alla mia maestra di sostegno, che mi accontentavano volentieri.

In quarta elementare entrò il computer nella mia vita, che mi avrebbe reso nel tempo sempre più autonomo, grazie ad un operatore di un centro infantile dell’U.S.L. rivolto ai disabili. Egli mi fornì un sistema a scansione, ossia un software dove le lettere sono scandite periodicamente e l’utente dà conferma sul simbolo che vuole scrivere; io effettuavo la selezione tramite un pulsante morbido che premevo con la testa. E’ un sistema tuttora in uso in caso di disabilità gravi, estremamente lento ( per esempio per scrivere “MAMMA” ci vorrà circa 30 secondi) , ma mi consentì di iniziare a scrivere da solo…..e la maestra scoprì che facevo molti errori di ortografia! In quinta elementare mi proposero di cambiare sistema in favore di quello che uso tuttora: si tratta di un caschetto dotato di una protuberanza con cui si possono digitare i tasti di una tastiera. E’ uno strumento sicuramente più veloce, anche se dipende molto dalla pratica acquisita: consente di essere completamente autonomo nell’uso del computer, come invece di solito non è nel caso dei sistemi a scansione che funzionano spesso solo per programmi ad hoc. Fu proprio il senso di autonomia ed il desiderio di poter utilizzare a pieno tutte le funzionalità del computer, che mi rese entusiasta di iniziare ad adoperare con il caschetto appena mi fu presentato. A dire il vero mio padre non era molto d’accordo all’idea che indossassi in testa qualcosa di così appariscente, in effetti esteticamente non è un granché, ma cambiò ben presto opinione quando si rese conto delle opportunità che poteva offrirmi. Da quando mi fu dato il caschetto l’uso scolastico del computer divenne molto più frequente; il PC venne quindi portato in classe, dove anche i miei compagni poterono avvicinarsi e iniziare ad usarlo insieme a me. Inizialmente infatti, al fine che mi abituassi ad usarlo, il computer era in una stanza diversa da quella della classe, dove andavo di tanto in tanto nelle ore di lezioni meno importanti.

In principio, anche con il caschetto ero piuttosto lento, quindi l’uso del computer era riservato soprattutto ai compiti in classe, per quello che riguarda le attività didattiche, mentre spesso sfruttavo parte delle pause pranzo pomeridiane per allenarmi. All’epoca il PC l’avevo solo a scuola e mi veniva prestato a casa solo durante le vacanze estive.

Finite le scuole elementari, seguì i miei amici più cari alle scuole medie. Anche qui mi proposero gli stessi programmi scolastici dei miei compagni, ero assistito da una prof. di sostegno e utilizzavo regolarmente il computer in classe (con cui ero diventato abbastanza abile).
Devo dire però che, a differenza delle elementari, alle medie ebbi qualche problema in più. Le prime difficoltà le incontrai con gli insegnanti di sostegno, soprattutto quelli con scadenza annuale, che si dimostrarono poco attenti alle mie necessità. I problemi con la scuola furono di vario tipo e soprattutto diversi da quelli strettamente didattici; il più grave fu secondo me quello legato alle mie esigenze fisiologiche. Sotto questo punto di vista la scuola non mi diede un’assistenza sufficiente, costringendo per un certo periodo di tempo mia madre a venire di persona ad aiutarmi, lasciando il posto di lavoro per un’ora. Anche il grado della mia integrazione nelle attività didattiche non fu frutto di un progetto organizzato dalla scuola, ma fu legato molto alla buona volontà del docente: durante le ore di musica, mentre i miei compagni suonavano il flauto, io li accompagnavo suonando con la pianola, grazie al caschetto, il pezzo che l’insegnante mi componeva; durante Educazione Tecnica il professore mi preparava degli esercizi che potevo realizzare al computer, invece per Educazione Artistica dipingevo su carta con colori a tempera. Infatti, un’insegnante di sostegno che avevo come supplente ebbe l’intuizione di sostituire la protuberanza del caschetto con un pennello, con cui riuscivo quindi a dipingere allo stesso modo in cui uso il computer; i dipinti che realizzavo erano molto apprezzati dai miei compagni e questo mi faceva molto piacere.

Anche con i miei compagni non mi trovai così bene come all’elementare: riuscì a socializzare poco, probabilmente anche per la mancanza di tempo libero, ed a volte mi sentì anche escluso dalle loro attività. Non tutto fu negativo però… mi trovai particolarmente bene invece con una ragazzina di un’altra classe, che conobbi per caso nel corridoio della scuola e di cui me ne innamorai: fu un’esperienza ovviamente molto importante, come lo è per qualunque ragazzino di quell’età. Inoltre ho tenuto i rapporti con un paio di amici delle scuole medie, rafforzando l’amicizia negli anni successivi.

Ai tempi della scuola media iniziai a frequentare anche la parrocchia ed a giocare a scacchi presso un club, con sede all’interno delle scuole superiori che affrontai successivamente. In questi due ambienti extrascolastici, che frequento ancora, mi trovai bene da subito: non ho nessun accompagnatore o tutor, ma semplicemente mi danno una mano le persone che vi trovo. Probabilmente riesco a stare nella società, senza particolari problemi, perché sono stato abituato a stare in mezzo agli altri fin dall’asilo nido.

A scacchi poi ho avuto anche soddisfazioni a livello agonistico, vincendo un campionato Provinciale Under 16, andando ai Nazionali e raggiungendo altri traguardi. Lo sport è importante…ed anche il gioco degli scacchi è uno sport; lo sport insegna a rapportarsi con le persone, insegna a lottare per un traguardo, insegna a vincere ed a perdere, a soffrire, reagire per poi gioire. Questi sono ingredienti importanti per la vita di ogni persona, ma lo sono ancora di più per chi ha difficoltà e problemi intrinseci nella sua natura fisica.

Gli scacchi, il mio sport, mi accompagnarono anche alle scuole superiori; il periodo delle superiori credo sia stato il più bello della mia vita, finora.

Infatti fui inserito in una classe mista, dove la scuola è invece prevalentemente maschile, per facilitare la mia integrazione; ciò devo dire che riuscì molto bene, in quanto praticamente con tutti i miei compagni riuscì ad avere buoni rapporti e con alcuni si instaurò una profonda amicizia che dura ancora. Col passare del tempo e non senza difficoltà, l’insegnante di sostegno riuscì a far adattare l’aula alle mie esigenze: si acquistò un computer nuovo (mentre a casa ne avevo già uno personale da un paio di anni), si fece un impianto elettrico adeguato per consentirmi di utilizzare il PC in classe in mezzo agli altri, si costruì un mobile per computer adatto a contenere tutta la strumentazione nel modo meno ingombrante possibile e si pose una televisione in classe per consentirmi di vedere i video insieme a tutti gli altri. Dalla scuola superiore ebbi tutta la strumentazione di cui avevo bisogno grazie soprattutto alla tenacia del mio insegnante di sostegno: credo che se ci fosse stata un'altra persona gli aiuti sarebbero arrivati in tempi molto più lunghi, a causa delle varie procedure burocratiche. Ovviamente non tutto fu perfetto: il montascala che chiesi alla scuola per raggiungere alcune zone per me inaccessibili fu acquistato e collaudato solo dopo il mio trasferimento all’altra sede della scuola. Oltre la strumentazione, mi furono assegnate due persone, tutor od obiettori, come supporto ad attività didattiche ed alle necessità fisiologiche. Oltre a seguirmi nel periodo di tempo scolastico, esse venivano anche a casa due pomeriggi alla settimana per aiutarmi nello studio ed accompagnarmi in attività di svago; con gli obiettori diventai molto amico ed ancora oggi passiamo qualche serata insieme.

Per quanto riguarda il mio metodo di studio, lo sviluppai soprattutto grazie l’aiuto della professoressa di lettere che mi dedicò qualche ora extrascolastica per approfondire alcuni temi della didattica e per interrogarmi. Per studiare ho sempre avuto bisogno di libri ed appunti in formato elettronico, in modo da poter aggiungere le mie considerazioni ai testi e rileggerli come e quante volte ritengo opportuno; pur riuscendo a sfogliare alcuni quaderni e libri grazie al caschetto, il formato cartaceo non mi permette di avere certo quell’autonomia sufficiente per studiare in modo efficace. Quindi, nei primi due anni delle superiori riscrivevo al computer, nel modo più sintetico possibile e sotto forma di schema, i punti salienti delle pagine di libro e di appunti. Al triennio invece riuscì ad alleggerire tale operazione di copiatura grazie all’utilizzo dello scanner, un dispositivo informatico simile ad una fotocopiatrice che permette di memorizzare nel computer i testi stampati.

Durante le lezioni raramente avevo bisogno dell’assistente, poiché riuscivo a cavarmela bene con l’aiuto del mio compagno di banco o scrivendo al computer (ero diventato piuttosto veloce); anzi, probabilmente l’assenza dell’assistente favorì la crescita del rapporto con il mio compagno Rocco, oggi tra i miei migliori amici. Durante le lezioni si lavora e si ascolta il prof, certo, ….ma si parla anche di calcio e di ragazze, si gioca al computer (visto che è sempre a portata di mano!) e si tira qualche scappellotto….ovviamente amichevole! Inoltre la scuola che frequentavo offriva molte ore di laboratorio, essendo un istituto tecnico: tali attività venivano svolte in gruppi di 3 o 4 persone che svolgevano esercizi e sviluppavano piccoli progetti. In queste ore di laboratorio ovviamente lavoravo insieme ai miei compagni, senza problemi di integrazione, anzi quei momenti costituivano spesso un’occasione per approfondire alcuni rapporti. Tant’è vero che al quarto e quinto anno lavorai insieme ad una persona che diventò poi un mio buon amico: quando si organizzava un’uscita di classe, mi veniva a prendere a casa in macchina per passare la serata insieme alla compagnia. Tuttora ci frequentiamo e continuiamo ad uscire.

Per quanto riguarda i compiti in classe, affrontavo al computer i temi e le prove di tipo letterario, mentre quelle di carattere tecnico, che richiedevano grafici e simboli, le effettuavo dettandone la soluzione ad un assistente. Le prove a cui ero sottoposto erano naturalmente le stesse proposte ai miei compagni, con l’unica differenza nel tempo che i professori mi lasciavano per terminare il compito e nel luogo in cui lo facevo: infatti, dovendo dettare a voce alta al mio assistente avevo bisogno di un’aula dove i miei compagni non potevano sentirmi (e copiarmi!), e più tempo perché ero ovviamente più lento rispetto ad una persona che scrive direttamente di sua volontà.

L’avventura delle scuole superiori passò tra concerti rock e serate in pizzeria, tra gioie e dolori di una classica cotta da sedicenne, tra poesie scritte e tornei di scacchi; terminò naturalmente con l’esame di stato, per cui preparai un piccolo progetto insieme ad un mio compagno, come richiesto dal corso di studi, ed affrontai le prove scritte e orali nello stesso modo adottato nei cinque anni di studi.

Come avevo praticamente deciso fin dall’inizio della quinta superiore, continuai gli studi iscrivendomi all’Università, al corso di Laurea in Ingegneria Informatica.

Per quanto riguarda la strumentazione, l’Università non ebbe mai problemi a fornirmela, anzi lo faceva piuttosto tempestivamente: per esempio chiesi un computer portatile e mi fu dato in dotazione dopo solo un mese. Mentre l’adattamento delle aule e l’assegnazione di un’assistenza adeguata è stato un processo molto lungo e graduale, poiché io fui per l’Università di Modena il primo studente con disabilità motorie gravi (….diciamo così!). Solo dalla fine del terzo anno furono rese accessibili le aule e mi furono assegnati due tutor per assistermi regolarmente durante la pausa pranzo e durante gli esami. Prima di tutto ciò devo ringraziare i miei amici che mi hanno dato una mano, se riuscì a proseguire gli studi; anche durante gli esami scritti, che svolgevo quasi sempre dettando la soluzione del compito ad una persona che scriveva per me, ricorrevo ad amici estranei al mio corso di laurea.

Il mio metodo di studio universitario fu lo stesso adottato alle superiori: a casa copiavo sul computer gli appunti presi a lezione. Ovviamente il carico di lavoro aumentò a dismisura all’Università rispetto le superiori: soprattutto al primo anno quando il numero di ore di lezione era elevato e quando la maggior parte del materiale didattico era su supporto cartaceo, spesso finivo di copiare la sera tardi gli appunti, dopo una giornata di lezioni. Facevo ovviamente una gran fatica a rimanere al passo con le lezioni, ma quello di avere gli appunti in formato elettronico è l’unico metodo di studio efficace che ho conosciuto fino adesso, quindi anche allora era l’unica strada che sapevo percorrere. Negli anni successivi il lavoro di copiatura s’è alleggerito, grazie all’aiuto del tutor ed al fatto che le materie divennero sempre più tecniche e i docenti lavorarono soprattutto con materiale già in formato elettronico.

Nonostante le difficoltà, il mio percorso di studi si è concluso bene. La mia discussione laurea a dire il vero è stato un evento, da me inaspettato; la pubblicazione sui giornali quotidiani della data della mia laurea, ha fatto sì che il giorno della proclamazione vennero oltre che gli inviati, già numerosi, anche molte persone di cui non avevo notizie da anni. Ho rivisto maestri e bidelli delle elementari e medie, professori delle superiori, vecchi compagni persi di vista da tempo…. Mi ha fatto un gran piacere: vuol dire che in un modo o in un altro mi sono fatto ricordare!

La tesi di laurea riguardò lo studio di nuove tecnologie informatiche per consentire anche a disabili gravi di interfacciarsi con il computer (e quindi con il mondo circostante) in modo efficace. Da questa idea, finanziata dopo la laurea dal Fondo Sociale Europeo e chiamata in seguito FaceMOUSE, ho fondato con un amico una società di nome A.I.D.A. (“Ausili ed Informatica per Disabili ed Anziani”), la cui attività principale è quella di ideare e sviluppare nuove tecnologie rivolte a disabili ed anziani per facilitare loro la comunicazione e l'utilizzo del Personal Computer. Particolare attenzione è rivolta allo studio di strumenti per la comunicazione di disabili motori gravi, poiché per essi non esistono ancora sistemi efficaci. Infatti FaceMOUSE è un software che permette di pilotare il cursore del mouse muovendo il capo o qualunque parte del corpo che il disabile controlli, senza l'utilizzo mani, voce e di alcun sensore: è infatti sufficiente muovere il capo, la bocca, un braccio o una gamba dinanzi ad una economica telecamera collegata al computer. Muovendo il cursore del mouse la persona con handicap motorio, anche grave, è in grado di scrivere, comunicare, navigare in internet e utilizzare tutte le funzioni del computer.

Con A.I.D.A. desidero dare a persone in condizioni simili alla mia le stesse possibilità che ho avuto io: la tecnologia informatica oggi può davvero essere uno strumento di interazione con il mondo per persone diversamente abili.

Io credo che l’importante traguardo della Laurea l’abbia raggiunto, oltre che per la mia forza di volontà, anche per una serie di circostanze che si sono ben incastrate assieme: fortunatamente ho avuto vicino persone che mi hanno considerato al pari di tutte le altre, che hanno saputo risaltare le mie capacità e rendermi in grado di lavorare nel modo più autonomo possibile. Crescendo insieme ai miei coetanei, giocando e studiando con loro, penso di aver acquisito una capacità di relazionarmi con la società che mi consentirà in futuro di cavarmela, anche senza la continua assistenza di enti od associazioni.

Penso che la cosa più importante per un disabile sia quella di sentirsi una persona alla pari di tutte le altre, che può affrontare e superare gli stessi problemi, anche se magari in un modo diverso e con qualche difficoltà in più.

In realtà un disabile è semplicemente una persona diversamente abile, anche se non tutti lo sanno!

Grazie per l’attenzione,

il sottoscritto Simone Soria.

(Riferimenti: Email: soriasimone@aidalabs.com Tel:059.306025 )

“Poesia” scritta il 21/12/98 , alle ore 19.40

Voglio combattere,

con le armi della mia anima,

con l’istinto del mio cuore,

voglio vincere.

Superare quegli ostacoli che

sembravano non venire giù,

gridare contro chi

mi ha detto no.

Smentire colui,

che soddisfazione;

supera anche il dolore

del mio umore,

stanco.

Ricaricare,

ripartire ancora

più forte di prima,

domani ancora io,

io ci sarò!

Soria Simone